Il blog di Nudge Italia

Una “spinta gentile” in direzione dell'etica

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In un recente post abbiamo pubblicato alcuni commenti a un servizio di Barbara Carfagna andato in onda su Tv7, settimanale del Tg1 e che riguardava il nudging. Aggiungiamo ora alcune considerazioni e commenti sulle problematiche di carattere etico degli interventi di nudging.

Come mette bene in evidenza la giornalista, è legittimo porsi alcune domande circa il cosiddetto libero arbitrio, ovverosia su quanto liberi siamo in assoluto di scegliere e quanto invece siamo condizionati dall'ambiente, naturale e sociale che ci circonda, e dagli eventi casuali (effetto noto come sliding doors, dall'omonimo film). Il problema non è nuovo e lo ha già affrontato il famoso psicologo americano B.F. Skinner nel 1972 in un celebre saggio “Beyond Freedom and Dignity”. Se ne è recentemente parlato anche nel blog di Paolo Moderato du Huffington (cit).

In primo luogo, esiste il rischio che partendo da alcuni piccoli interventi di “paternalismo libertario” si possa arrivare a interventi così invadenti da diventare inaccettabili e da minare la libertà di scelta degli individui?

Come evidenziano Cass Sunstein e Richard Thaler in uno degli ultimi capitoli del loro best seller “Nudge”, questa obiezione si riferisce a una generale ipotesi sul rischio degli interventi senza di fatto entrare nel merito degli stessi (risultati molto efficienti e a basso costo). Piuttosto che evitare a priori l'attuazione di interventi che possono aiutare i cittadini a prendere decisioni più efficaci è più utile valutare di volta in volta le varie azioni intraprese per migliorarle e monitorarle nel caso emergessero delle criticità. E del resto è questo il compito che una moderna scienza del comportamento è chiamata ad assolvere, ovvero proporre interventi efficaci e innovativi da un lato interrogandosi al contempo su possibili problemi di natura etica.

È inoltre utile sottolineare che uno dei principi fondamentali del paternalismo libertario è quello di progettare interventi che permettano, a chiunque lo voglia, di aggirare agevolmente le spinte gentili proposte. In questo senso, dunque, la linea di demarcazione tra interventi di nudging e interventi coercitivi si delinea in maniera netta. Se, ad esempio, disporre gli alimenti di una mensa in modo tale che cibi sani abbiano una maggior visibilità può essere considerata una spinta gentile, aumentare il costo dei cibi non salutari o eliminarli dal repertorio di scelta del consumatore, o proibirli per decreto non lo è.

In secondo luogo, è possibile che la conoscenza del funzionamento della mente umana venga utilizzata per spingere i cittadini a comportarsi contro il proprio interesse?

Per rispondere a tale domanda, bisogna riflettere su un fatto tanto evidente quanto spesso trascurato: di fatto le scelte non sono mai neutre. Qualunque scelta è influenzata da fattori contestuali e sociali, o da fattori casuali, di cui spesso non siamo consapevoli ma che comunque intervengono nell'indirizzare e influenzare le nostre decisioni.

Riprendendo l'esempio della mensa, la scelta sarebbe tra sistemare il cibo in maniera del tutto casuale, oppure disporre gli alimenti in modo tale da ottimizzare il benessere dei consumatori.  Perché dunque lasciare che sia il caso a influenzare le scelte delle persone anche quando è evidente che alcune modifiche del contesto potrebbero garantire vantaggi senza impedire in alcun modo una scelta differente?

Un ultima considerazione è infine necessaria. Com'è possibile evitare il rischio che gli interessi di qualcuno prevalgano su quelli collettivi imponendosi in maniera velata tra chi non dispone di informazioni sufficienti?

Oltre al criterio di scientificità degli interventi, già discusso nel post precedente, uno dei migliori antidoti contro i pericoli di un utilizzo scorretto dei principi del nudging è quello della trasparenza nei confronti dei cittadini, tema trattato anche da Sunstein nel suo ultimo libro, Semplice. Un esempio concreto e positivo di trasparenza ci proviene anche dal Regno Unito dove il Behavioral Insight Team, non solo realizza studi e interventi basati su metodi scientifici, ma ne pubblica sul proprio sito i report, redatti in un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori. Possiamo dire lo stesso di tante leggi italiane?

Siamo esseri molto più “umani” che “razionali”: cosi nasce la Behavioral Economics.

   

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Quando si parla di decisioni in ambito sanitario o finanziario siamo abituati a pensare che, se opportunamente informati, gli essere umani siano in grado di ragionare e fare scelte in funzione del proprio benessere, ma le cose non stanno esattamente cosi. Daniel Kahneman, psicologo premio Nobel per l’Economia, lo spiega facendo riferimento a due sistemi che convivono nel nostro cervello: il Sistema 1,più “antico”, irrazionale e veloce e il Sistema 2, più evoluto e capace di ragionamenti complessi, ma molto più lento. Ed è proprio il Sistema 1, che per lunghissimo tempo ha garantito la sopravvivenza della specie, che si attiva anche ai giorni nostri di fronte a moltissime scelte della vita quotidiana, banali o importanti che siano. Richard Thaler e Cass Sunstein, economisti statunitensi, distinguono gli Econi, ipotetici esseri capaci di comportarsi sempre e comunque razionalmente, dagli Umani, che realmente popolano il nostro pianeta e che essendo molto più sensibili alle caratteristiche del contesto effettuano scelte sulla base di informazioni apparentemente irrilevanti e spesso trascurate. Sono queste fondamentali osservazioni da cui prendono le mosse i numerosi studi che vanno sotto il nome di “behavioral economics” o “psicologia delle scelte”.

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