Il blog di Nudge Italia

Good Nudge o Bad Nudge?

In un recente post  è stato pubblicato un articolo che riportava un’iniziativa sviluppata dalla Hubbub  . Quest’ultima ha introdotto a Londra dei contenitori per la raccolta dei mozziconi di sigarette molto particolari, con l’obiettivo di ridurne la quantità gettata per strada e cercando quindi di rispondere a un problema evidentemente marcato. La logica seguita è stata simile a quella adottata negli interventi promossi da Volkswagen, nell’iniziativa “The Fun Theory Award”  ovvero di utilizzare attività interattive e divertenti per favorire comportamenti desiderabili.

L’intervento ha innescato uno stimolante dibattito su quanto questo possa essere considerato un buon esempio di nudge o meno. Se infatti da un lato, la funzione che vuole assolvere è dichiaratamente quella di ridurre l’impatto ambientale dovuto all’abbandono di mozziconi per le strade, dall’altro c’è chi sostiene che in realtà possa configurarsi come un incentivo a fumare producendo come effetto collaterale un incremento nel consumo di sigarette. L’osservazione è legittima e riporta inevitabilmente a una questione già dibattuto parlando di Nudge. 

Qual è la linea che distingue buoni nudge da cattivi nudge?
È possibile da un lato sostenere come l’efficacia di un intervento dipenda dalla funzione che vuole assolvere. Nello specifico, quello citato mostrerebbe la propria efficacia qualora venisse mostrata empiricamente una riduzione nella quantità di mozziconi gettati a terra. È chiaro, tuttavia, come il piano dell’efficacia sia differente da quello etico. Se effettivamente incentivasse un maggior consumo di sigarette, sarebbe auspicabile chiedersi se il gioco vale la candela.
È necessario tuttavia sottolineare come quest’ultima assunzione sia puramente ipotetica e andrebbe anch’essa verificata empiricamente.
Per portare un esempio simile , a Luton, dei grossi cartelloni invitano ad attaccare le gomme da masticare sulla figura degli attori protagonisti di un determinato film. È possibile affermare che questo intervento incentivi il consumo di chewing-gum e quindi l’ingestione di zuccheri?
Non necessariamente esiste un nesso di causalità tra le due cose. In questo senso, dunque le opinioni si dividono.
È dunque preferibile escludere aprioristicamente interventi che presentano controversie di questo tipo o affrontare la questione in maniera approfondita per comprendere se tali preoccupazioni, perfettamente lecite, siano fondate o meno?
Rispondere a tale domanda risulta tutt’altro che semplice, ma può fornire spunti utili per un dibattito costruttivo sul tema etico.
Lo stesso Nudge è stato criticato a più riprese per il suo potenziale carattere manipolatorio ed è un bene per il suo sviluppo che tali critiche siano state affrontate, ancor di più considerando che ha iniziato a muovere i suoi primi passi solo recentemente.
Anche in questo caso, sarebbe sicuramente utile discutere in maniera aperta su quale metodo utilizzare per valutare in maniera affidabile il rapporto tra i rischi e i benefici che possono produrre interventi che si trovano sulla sottile linea di confine tra good nudge e bad nudge.

Una “spinta gentile” in direzione dell'etica

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In un recente post abbiamo pubblicato alcuni commenti a un servizio di Barbara Carfagna andato in onda su Tv7, settimanale del Tg1 e che riguardava il nudging. Aggiungiamo ora alcune considerazioni e commenti sulle problematiche di carattere etico degli interventi di nudging.

Come mette bene in evidenza la giornalista, è legittimo porsi alcune domande circa il cosiddetto libero arbitrio, ovverosia su quanto liberi siamo in assoluto di scegliere e quanto invece siamo condizionati dall'ambiente, naturale e sociale che ci circonda, e dagli eventi casuali (effetto noto come sliding doors, dall'omonimo film). Il problema non è nuovo e lo ha già affrontato il famoso psicologo americano B.F. Skinner nel 1972 in un celebre saggio “Beyond Freedom and Dignity”. Se ne è recentemente parlato anche nel blog di Paolo Moderato du Huffington (cit).

In primo luogo, esiste il rischio che partendo da alcuni piccoli interventi di “paternalismo libertario” si possa arrivare a interventi così invadenti da diventare inaccettabili e da minare la libertà di scelta degli individui?

Come evidenziano Cass Sunstein e Richard Thaler in uno degli ultimi capitoli del loro best seller “Nudge”, questa obiezione si riferisce a una generale ipotesi sul rischio degli interventi senza di fatto entrare nel merito degli stessi (risultati molto efficienti e a basso costo). Piuttosto che evitare a priori l'attuazione di interventi che possono aiutare i cittadini a prendere decisioni più efficaci è più utile valutare di volta in volta le varie azioni intraprese per migliorarle e monitorarle nel caso emergessero delle criticità. E del resto è questo il compito che una moderna scienza del comportamento è chiamata ad assolvere, ovvero proporre interventi efficaci e innovativi da un lato interrogandosi al contempo su possibili problemi di natura etica.

È inoltre utile sottolineare che uno dei principi fondamentali del paternalismo libertario è quello di progettare interventi che permettano, a chiunque lo voglia, di aggirare agevolmente le spinte gentili proposte. In questo senso, dunque, la linea di demarcazione tra interventi di nudging e interventi coercitivi si delinea in maniera netta. Se, ad esempio, disporre gli alimenti di una mensa in modo tale che cibi sani abbiano una maggior visibilità può essere considerata una spinta gentile, aumentare il costo dei cibi non salutari o eliminarli dal repertorio di scelta del consumatore, o proibirli per decreto non lo è.

In secondo luogo, è possibile che la conoscenza del funzionamento della mente umana venga utilizzata per spingere i cittadini a comportarsi contro il proprio interesse?

Per rispondere a tale domanda, bisogna riflettere su un fatto tanto evidente quanto spesso trascurato: di fatto le scelte non sono mai neutre. Qualunque scelta è influenzata da fattori contestuali e sociali, o da fattori casuali, di cui spesso non siamo consapevoli ma che comunque intervengono nell'indirizzare e influenzare le nostre decisioni.

Riprendendo l'esempio della mensa, la scelta sarebbe tra sistemare il cibo in maniera del tutto casuale, oppure disporre gli alimenti in modo tale da ottimizzare il benessere dei consumatori.  Perché dunque lasciare che sia il caso a influenzare le scelte delle persone anche quando è evidente che alcune modifiche del contesto potrebbero garantire vantaggi senza impedire in alcun modo una scelta differente?

Un ultima considerazione è infine necessaria. Com'è possibile evitare il rischio che gli interessi di qualcuno prevalgano su quelli collettivi imponendosi in maniera velata tra chi non dispone di informazioni sufficienti?

Oltre al criterio di scientificità degli interventi, già discusso nel post precedente, uno dei migliori antidoti contro i pericoli di un utilizzo scorretto dei principi del nudging è quello della trasparenza nei confronti dei cittadini, tema trattato anche da Sunstein nel suo ultimo libro, Semplice. Un esempio concreto e positivo di trasparenza ci proviene anche dal Regno Unito dove il Behavioral Insight Team, non solo realizza studi e interventi basati su metodi scientifici, ma ne pubblica sul proprio sito i report, redatti in un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori. Possiamo dire lo stesso di tante leggi italiane?

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